le audizioni per il disegno di legge 1825 (d.d.l. gentiloni)

Al termine delle audizioni degli attori del sistema televisivo effettuate presso la Commissione VII Cultura riunita per l’occasione con la Commissione IX Trasporti e Telecomunicazioni, comincia per il disegno di legge n. 1825 (il cosiddetto D.d.L. Gentiloni) l’iter per la discussione generale e la definizione degli emendamenti.

Riassumendone i punti principali, il disegno di legge presentato al Consiglio dei Ministri nella seduta del 12 ottobre 2006 elenca una serie di norme che dovrebbero regolare il sistema televisivo nella transizione alla tecnologia digitale e stabilisce che:
– il 30 novembre 2012 sarà l’ultimo giorno per le trasmissioni analogiche televisive in Italia
– sarà del 45% il limite della raccolta pubblicitaria nel settore televisivo riferibile ad un unico soggetto, ed al calcolo del tetto concorreranno anche le telepromozioni. Per l’operatore che non abbia già trasferito almeno una delle proprie reti nazionali analogiche sul digitale e che superi il limite, è prevista la riduzione dell’affollamento pubblicitario dal 18% al 16% orario.
– sarà del 20% del totale il numero di programmi irradiabili da un unico operatore, e concorreranno al calcolo i programmi in tecnica digitale e quelli a pagamento
– sarà del 20% del totale il massimo della capacità trasmissiva utilizzabile da un unico operatore
– ogni gruppo televisivo con più di due reti analogiche trasferisca le eccedenti su una piattaforma digitale entro 15 mesi dall’entrata in vigore della legge
– le frequenze liberate dal passaggio al digitale vengano cedute a condizioni eque a chi ne faccia richiesta

Al momento di aprire i lavori dell’indagine conoscitiva, Il Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni ha sottolineato come gli obblighi a legiferare in materia derivino dalla sentenza della Corte costituzionale 466/2002 – che definiva la situazione del nostro settore televisivo in termini di «incompatibilità con i principi del pluralismo» – e dalla messa in mora dell’Unione Europea che, il 19 luglio 2006, ha rilevato un’infrazione della legge 112/2004 (la cosiddetta “legge Gasparri”).

Nel corso delle audizioni, gli attori del sistema televisivo italiano hanno avuto la possibilità di esprimere le proprie visioni sull’evoluzione del mezzo, di ridiscutere fonti di ricavo storiche, di provare a delinearne di nuove, di trattare temi di importanza fondamentale come l’assegnazione del bene pubblico delle frequenze di trasmissione.
Il testo delle audizioni è una finestra unica sullo stato della televisione in Italia.
Di seguito sono riportati gli interventi più significativi.

Il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Antonio Catricalà è stato particolarmente critico nella metodologia di individuazione del soggetto dominante, definita per legge e non in base ad una attenta ricerca che tenga conto di volta in volta delle caratteristiche del sistema. Nel corso del suo intervento, dopo aver segnalato come la tutela del pluralismo non sia biunivocamente ed esclusivamente collegata ad un efficiente funzionamento del sistema di mercato, Catricalà ha ricordato alle Commissioni come il particolare settore delle telecomunicazioni televisive sia soggetto ad un processo di rapidissima evoluzione tecnologica e di progressiva convergenza tecnica ed economica. Ha suggerito «una particolare prudenza e parsimonia regolatoria, nel momento in cui ci si accinge a disciplinare il sistema televisivo via etere terrestre, che è solo una parte, sebbene importante, del più ampio settore delle comunicazioni televisive, allo scopo di non imbrigliare ingiustificatamente le spontanee dinamiche di mercato, specie con riferimento alla fissazione di limiti alla raccolta pubblicitaria». In una fase in cui il sistema televisivo è caratterizzato da un aumento degli ascolti satellitari e da un previsto sviluppo della internet-tv, secondo Catricalà potrebbe essere pericoloso vincolare in maniera rigida l’attività delle aziende in un quadro fluido e dinamico in quanto le conseguenze potrebbero risultare in una misura riduttiva per il sistema in un momento in cui necessita di risorse per far fronte a cospicui investimenti. Riservando il proprio ruolo alle sole valutazioni a tutela del funzionamento efficiente del mercato, il presidente dell’Autorità ha elencato fra i punti positivi del disegno di legge l’accelerazione del passaggio alle trasmissioni in tecnica digitale, la risposta in linea di principio alla giurisprudenza della Corte costituzionale sul pluralismo televisivo, alle censure della Commissione europea ed all’esigenza di dare certezza e imparzialità alla rilevazione degli ascolti, e infine la promozione di nuove modalità trasmissive, come la Internet-Tv su banda larga. Ma non manca di far rilevare quelle che chiama «ombre» della legge: la non opportuna definizione per legge della «posizione dominante» – l’individuazione delle imprese in posizione dominante ai fini antitrust è un giudizio caso per caso, che spetta all’Autorità compiere sulla base della valutazione di tutte le condizioni di mercato e non solo delle quote detenute dalle imprese -, la perplessità in merito al limite ai ricavi derivanti dalla raccolta pubblicitaria.
Ed ha terminato suggerendo alcune misure per velocizzare il passaggio al digitale: destinare alla trasmissione digitale le frequenze lasciate libere dagli operatori detentori di più di due emittenti irradiate su frequenze terrestri analogiche, una politica di incentivazione degli acquisti dei decoder incentrata su «apparecchi plurivalenti».

L’assistente al presidente di Rete A Rosario Pacini ha portato alle Commissioni i punti di disaccordo del gruppo editoriale L’Espresso relativi al disegno di legge. Ha prima di tutto ricordato che un’equa ripartizione fra gli operatori delle frequenze disponibili è una condizione necessaria per il pluralismo nel sistema che viene ben prima della ripartizione delle risorse economiche. In seguito, ha auspicato che il trasferimento sul digitale di una rete Mediaset avvenga molto prima di quanto proposto, e che il tetto alla raccolta di risorse sul sistema (non solo quelle pubblicitarie) venga stabilito al 30%: in questo modo si farebbe rientrare nei limiti anche l’operatore satellitare SKY, che nel 2006 ha rappresentato fra pubblicità ed abbonamenti, il 26% del sistema dei finanziamenti televisivi.

Il Presidente della RAI Claudio Petruccioli ha ricordato che il delicato processo di transizione al digitale che la legge affronta esige chiarezza e certezza e che questa necessità in Italia è resa molto più acuta rispetto agli altri paesi europei dallo stato di confusione e aleatorietà registrato finora nel governo delle frequenze. Nel disciplinare l’assegnazione della capacità trasmissive dell’operatore pubblico a switch-off nazionale avvenuto, Petruccioli ha ricordato la necessità di individuare uno spazio di banda necessaria a trasmettere almeno due reti nazionali in alta definizione: secondo il presidente della RAI infatti, è necessario far coincidere l’alta definizione con il decollo del digitale.

Il Direttore generale television di Telecom Italia Media Antonio Campo dall’Orto, ha ricordato ai parlamentari come, senza un vero cambiamento di regole, il passaggio al potrebbe risultare in un’occasione sprecata, ed il sistema televisivo potrebbe veder riproposti gli stessi equilibri dell’analogico nel contesto numerico. Secondo Dall’Orto, i vent’anni di storia di Telemontecarlo ed i 5 di La7 dimostrano l’impossibilità di una concorrenza sostenibile nell’industria televisiva italiana, e l’impegno sostenuto dalla sua azienda, che in cinque anni ha stanziato 820 milioni di euro a fronte di 360 milioni di ricavi sia tale da poter essere sostenuto da pochi altri soggetti. Secondo Telecom Italia Media, il panorama della tv in Italia è rimasto immutato negli ultimi anni –solo il satellite ha ottenuto una crescita basandosi su un modello di business differente- e questa è l’ultima possibilità che l’Italia ha per far si che ci possa essere una sostenibilità della competizione nel sistema televisivo. Dall’Orto ha quindi proposto alcuni emendamenti al disegno di legge, al fine di evitare che le norme risultino ancora una volta inapplicabili:
– riduzione automatica degli affollamenti pubblicitari al superamento del tetto del 45% dei ricavi pubblicitari del sistema. Tale misura dovrebbe valere anche in caso di trasferimento di una delle tre reti sul dtt, e scadere nel 2012, quando il completato passaggio al digitale regalerebbe un maggiore regime concorrenziale.
– necessità di organizzare fin da ora lo switch off, determinando con chiarezza tempi, reti e regioni che effettueranno il trasferimento.
– non assegnare frequenze liberate ad operatori analogici, e non togliere a Telecom Italia spazi di trasmissione. E infine non includere i canali pay nel calcolo del tetto del 20% di programmi irradiati in DTT da un unico soggetto, per non stroncare sul nascere un servizio che attualmente si pone in concorrenza rispetto al 93% in mano ad un unico soggetto (Sky Italia).

Il presidente di Europa 7 Francesco Antonio Di Stefano ha effettuato una puntuale analisi degli articoli del d.d.l., definendo prima di tutto inefficace – quasi una conferma dello status quo – il tetto del 45% della raccolta pubblicitaria riferibile ad un unico soggetto. Secondo Di Stefano, il tetto andrebbe fissato al 30%, escludendo dai calcoli i ricavi da pay-tv e dal canone. E la riduzione dell’affollamento andrebbe fissata per ogni rete al 12% orario. Essendo l’unico operatore che, pur avendo ottenuto la licenza a trasmettere nel 1999, non può farlo per mancanza di frequenze, Europa7 ha chiesto l’immediata applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, che imponeva «l’immediata cessazione delle trasmissioni sinora svolte con le reti analogiche eccedenti, senza possibilità di loro cessione a terzi, né di trasformazione in tecnica digitale». L’applicazione di tale sentenza era stata infatti congelata dalla legge 112/04, che consentiva di «proseguire le trasmissioni in tecnica analogica, fino alla data dello switch-off, (…) agli operatori privi della concessione analogica (articolo 25, comma 11)».
Di Stefano ha infine chiesto che le frequenze liberate in seguito a switch-over vengano innanzitutto impiegate per garantire copertura alla propria impresa.

Il rappresentante di Adiconsum Mauro Vergari ha espresso il suo disappunto nei confronti del testo del disegno di legge, definendolo figlio di una mentalità analogica si preoccupa solo di evitare di ripetere gli errori passati, ma non di gettare degli elementi che indirizzino la prospettiva tecnologica del Paese. Non esistendo la certezza che nel 2012 sarà la tv digitale terrestre, il solo satellite o la sola banda larga ad essere la piattaforma distributiva vincente dei contenuti audiovisivi diretti al televisore, una legge che contenga elementi di garanzia del concetto di neutralità tecnologica garantirebbe, secondo Adiconsum, una piena la libertà di scelta del singolo utente. Vergari ha voluto ribadire che non è il tetto pubblicitario il punto fondamentale, ma la coscienza delle possibilità tecnologiche della multimedialità. L’utenza della televisione lineare, così come oggi la conosciamo, è destinata negli anni a ridursi a favore di altre forme di fruizione: Adiconsum auspica quindi che la legge futura sia in grado di guardare avanti, e che fornisca un supporto di regole all’evoluzione. Vergari ha terminato auspicando che la partenza di una sperimentazione di contenuti HD sul DTT si realizzi al più presto, al fine di contrastare quella che è l’unica offerta disponibile (su satellite) e per dare una risposta ai 20.000.000 di nuovi televisori che, al ritmo di 4.000.000 all’anno, i consumatori avranno acquistato nel 2012.

Il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Corrado Calabrò ha riassunto il contesto normativo del settore, ricordando che in Italia, nel momento in cui si aprì all’iniziativa privata l’esercizio del servizio televisivo, si è andati incontro ad «una occupazione di fatto delle frequenze, che i provvedimenti intervenuti a posteriori si sono limitati a registrare». Fotografando la situazione del sistema televisivo in Italia, Calabrò elenca alcuni dati: «nel 2005 la quota dei primi due gruppi, Mediaset (57 per cento) e Rai (27 per cento) è stata pari, considerando la pubblicità locale, all’85 per cento circa». Per la pay tv invece, Sky Italia deteneva da sola il 95 per cento. Nel corso dell’ultimo anno, i ricavi degli abbonamenti di Sky hanno raggiunto e superato quelli del canone Rai. «Complessivamente, la quota della presenza di Rai e Mediaset, nel settore televisivo, è stata pari nel 2005 rispettivamente al 37 e al 33 per cento, mentre Sky Italia è arrivata a pesare per il 21 per cento dei ricavi totali del settore. I ricavi ammontano a 7,9 miliardi di euro così ripartiti: 3 miliardi e 91 milioni per la Rai, 2 miliardi e 748 milioni per Mediaset e 2 miliardi e 83 milioni per Sky».
In un contesto come questo, secondo Calabrò il digitale è una strada da percorrere per tutelare concorrenza e pluralismo. Per questo motivo deve essere assegnata al più presto possibile una data di switch-off, ed essa deve essere il più vicina possibile. Allo stesso modo va individuata necessariamente una marcia di avvicinamento che passi attraverso fasi di sperimentazione e di collaudo sempre più vaste e definite per aree territoriali anziché per singole reti.
Calabrò inoltre ha salutato con entusiasmo la ridefinizione del Sistema Integrato della Comunicazioni (SIC) voluto dalla legge 112/2004 – e che valeva nel 2005 22.144 miliardi di euro – ma ritiene che sia ancora troppo ampio e composto da mercati eterogenei. Di contro, ha sottolineato l’incoerenza del calcolare la posizione dominante nel settore sulla base dei soli ricavi pubblicitari.

Annalisa Malfatti di H3G ha ricordato come il Gruppo 3 Italia sia stato l’unico soggetto nuovo entrante nel settore televisivo degli ultimi anni ed il primo operatore al mondo ad aver avviato un servizio televisivo diretto a terminali mobili in tecnica digitale. In questo ambito, ha chiesto, quale nuovo attore, che sia posta una particolare attenzione nel preservare gli investimenti frequenziali. Ed ha suggerito l’emanazione di regole specifiche per il broadcasting su apparati mobili (soprattutto in relazione alla raccolta pubblicitaria), segnalando la necessità di inserire le tv mobili fra quelle rilevate dall’Auditel.

Giovanni Mazzoni, direttore di Rete7, ha espresso la necessità di una razionalizzazione del settore dopo 30 anni di storia. Secondo la sua relazione, le 585 emittenti locali attive ad oggi sono troppe, e la loro esistenza non è una garanzia di pluralismo, ma piuttosto una pluralità di voci spesso prive di elementi di qualità.
Mazzoni ha chiesto infine che la nuova legge consegni finalmente alle tv locali la possibilità di effettuare investimenti a lungo termine con la certezza di norme durevoli e definite.

Giovanni Moglia di Fastweb ha ricordato la peculiarità dell’esperienza del primo operatore triple play al mondo che conta un milione di clienti in Italia di cui 300 abbonati al servizio di IPTV.
Nel corso del suo intervento Moglia ha rilasciato dichiarazioni positive in merito al percorso intrapreso dal disegno di legge, soffermandosi sulla previsione di separazione societaria società che gestiscono le reti di trasporto dei contenuti e quelle che li producono.
A questo proposito ha suggerito di prevedere per le imprese dominanti una separazione proprietaria.

Il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri ha criticato pesantemente il disegno di legge definendolo «arretrato ed incapace di comprendere la reale portata degli effetti tecnologici dei cambiamenti in atto», oltre che punitivo nei confronti dell’azienda che rappresenta, incapace di aprire il mercato e infine di sospetta incostituzionalità. Dopo aver sottolineato come dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e dalle pronunce dell’Autorità di Garanzia emerga l’inconsistenza della situazione di perdurante deficit di pluralismo del sistema televisivo italiano, Confalonieri ha posto l’accento sul fatto che la diversificazione delle nuove piattaforme e delle modalità di visione dei contenuti video (digitale terrestre, satellite, cavo, tv mobile e IPTV) abbia accelerato di per sé il confronto della televisione tradizionale con i nuovi player. Nel modo in cui sottrae risorse pubblicitarie, ridefinisce il SIC introdotto dalla legge Gasparri ed impone il passaggio di una rete al digitale, il D.d.l. sembra infliggere un danno ad una specifica impresa senza fondarlo sulla difesa di concreti interessi pubblici. Questa azione secondo Confalonieri sarebbe incompatibile con i due princìpi di uguaglianza e libertà d’impresa, costituzionalmente protetti (articoli 3 e 41).
Nel corso del suo intervento, il presidente di Mediaset ha respinto pronondamente e nella quasi totale interezza i contenuti del disegno di legge: la mancanza di elementi per definire e misurare il pluralismo, il sacrificio delle telepromozioni che non gioverebbe a nessuno, l’assenza di qualsiasi riferimento ad un’attività di pianificazione ed a procedure per la futura assegnazione delle frequenze liberate dallo switch-off, l’equiparazione dei servizi pay per view ai “canali” utili per il calcolo dell’antitrust, il ripensamento dell’Auditel, la sostanziale sopravvivenza del SIC nonostante le dichiarazioni di inutilità, l’utilizzo dei fatturati pubblicitari per calcolare il livello di concorrenza di un mercato caratterizzato altre fonti di guadagno sono accolte come norme inefficaci che denotano una scarsa comprensione delle dinamiche del mercato.
Confalonieri ha chiuso il suo lungo intervento con un’analisi dell’evoluzione del sistema televisivo multicanale e multipiattaforma, sottolineando come si stia registrando a livello europeo un progressivo spostamento delle risorse (e delle quote di mercato degli editori) dalla televisione free-to-air alle piattaforme a pagamento. Un eventuale ritardo nello sviluppo di una piattaforma digitale terrestre potrebbe, secondo il presidente del gruppo di Cologno, indebolire la capacità competitiva dei broadcaster terrestri, finendo per rafforzare la posizione di editori che lavorano su piattaforme proprietarie (satellite, cavo e IPTV). In considerazione del suo ruolo di servizio universale sostitutivo a quello televisivo analogico, fra le quattro piattaforme digitali esistenti quella terrestre è invece l’unica ad avere uno standard aperto, con decoder che consentono la visione dei programmi di tutti gli operatori. Per questo motivo, così come già accaduto negli altri paesi europei, l’importanza della tv digitale terrestre sta nel giocare un ruolo centrale e di traino nel realizzare un contesto di maggiore concorrenza e pluralismo permettendo la moltiplicazione degli editori e dei canali disponibili. Ma affinché questo si realizzi, è necessario che agli attuali operatori analogici sia affidato il maggior numero di canali disponibili per fare della piattaforma terrestre una via di accesso ad un’offerta ricca non necessariamente a pagamento.
In conclusione l’opinione di Mediaset è quella che l’applicazione delle leggi attuali ed una veloce transizione al digitale sarebbero in grado di favorire l’apertura del mercato televisivo, l’ingresso di nuovi soggetti ed un maggior pluralismo di settore.

Il presidente ed amministratore delegato di Elettronica industriale Franco Ricci ha spiegato come in realtà non esista in Italia un monopolio delle frequenze, ma i due maggiori operatori dispongano solo il 40% della capacità totale disponibile calcolando gli spazi in maniera qualitativa – secondo la loro potenzialità di copertura- e non quantitativa. Ricci ha ricordato come a riprova di questo negli ultimi sei anni siano nate cinque nuove reti televisive nazionali digitali dall’acquisizione di emittenti locali (Mediaset 1, RaiMux A e B, Telecom 1, H3G), ed altre cinque (HSE, Europa Tv, Telepiù, Elefante Tv, ReteA) abbiano cambiato proprietà. Ha infine segnalato come, ai fini delle norme anticoncentrazione per i fornitori di contenuti, il calcolo debba basarsi sul numero dei programmi: il riferirlo alla capacità trasmissiva disincentiverebbe il servizio universale e lo sviluppo di tecnologie avanzate, come l’alta definizione, che necessitano di maggiore capacità.

Il presidente del DGTVi Piero De Chiara ha innanzitutto ricordato come, «contrariamente ad altre rivoluzioni tecnologiche universali, quali la telefonia mobile o Internet, lo switch-off televisivo non consente obiezioni e anche la persona anziana più refrattaria sarà costretta ad un cambiamento pur di non restare con lo schermo nero: per evitare che tutto questo appaia come una violenza tecnologica sui telespettatori, l’industria ha considerato suo dovere organizzare questo processo e renderlo attraente, producendo nuovi canali, spiegando, assistendo. Per questo motivo, è nato DGTVi, che oggi rappresenta tutti i principali broadcasters nazionali, Rai, Mediaset, Telecom Italia Media e la quasi totalità delle emittenti locali, attraverso le loro due associazioni più rappresentative, FRT e Aeranti-Corallo».
Secondo De Chiara, l’obiettivo del 2012 non è commisurato alle potenzialità italiane. Il rinvio rispetto alla precedente data del 2006 ha già generato effetti negativi sulle imprese – l’operatore Dfree ad esempio ha perso un partner finanziario importante – e l’industria televisiva italiana, in procinto di affrontare il più grande ciclo di cambiamenti e di investimenti della sua storia, chiede stabilità e certezze delle regole. In questo senso, De Chiara ha chiesto alcune modifiche al testo:
– delega al Ministro per indicare un piano cadenzato di switch-off, che indichi il calendario per regioni. La certezza di un percorso credibile è infatti il principale interesse di tutti i broadcasters televisivi.
– tutela della televisioni locali, con periodi transitori il più corti possibile. I tre anni che secondo il disegno di legge devono intercorrere fra lo spegnimento parziale di un’area e quello definitivo sono eccessivi, soprattutto per chi non può effettuare trasmissioni in simulcast.
– evitare la requisizione delle frequenze, o la loro riassegnazione ad editori che trasmettono in analogico. La strada giusta è quella dell’assegnazione di spazio trasmissivo a terzi come modo economico, rapido ed efficiente per garantire agli editori televisivi, anche i nuovi, di competere sul mercato.

Il presidente del FRT Filippo Rebecchini è intervenuto sul tema della restrizione del tetto pubblicitario al 45% esprimendo il timore che la conformazione del mercato si trasformi da duopolio a tripolio, e che l’ingresso di un nuovo competitor di rilievo vada ad erodere i già scarsi spazi economici delle tv locali.
A difesa delle 586 emittenti locali attive (delle quali solo 106 registrano fatturati al di sopra del milione di euro), Rebecchini ha chiesto piuttosto di lasciare la situazione attuale immutata.

La delegazione dell’associazione AERANTI-Corallo guidata dal segretario generale Fabrizio Berrini ha invece apprezzato le basi del D.d.L, chiedendo azioni per ridimensionare il sostanziale duopolio del mercato televisivo a favore delle emittenti locali.
A margine dell’audizione, il coordinatore dell’associazione Marco Rossignoli ha proposto la riduzione degli affollamenti pubblicitari delle tv nazionali private al 15%, il contenimento degli spazi pubblicitari della Concessionaria pubblica, la possibilità di trasmettere televendite solo da parte delle tv locali. Ed ha chiesto inoltre che il disegno di legge individui soluzioni anche sul piano dell’utilizzazione delle risorse frequenziali, affinché le tv locali possano effettivamente competere nei nuovi scenari digitali.

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  1. […] un’impresa del settore televisivo come dominante. Lowe ha sostanzialmente ricalcato le dichiarazioni rese dal Garante italiano per la concorrenza Antonio Catricalà in sede di audizione in Commissione […]

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